Donne e smart working: la cura condivisa

22.06.2022

Risulta evidente quanto la donna abbia raggiunto una piena consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte e azioni, sia in ambito delle relazioni personali, sia in quello della vita politica, lavorativa e sociale. Con lo smart working è possibile garantirle una piena partecipazione tra uomini e donne.

Per le donne italiane, nell'era della pandemia, lo smart working si è rivelato un grande aiuto aiutandole a conciliare famiglia e professione, ma al contempo l'emergenza sanitaria ha più ancora sottolineato le differenze di genere nel mondo del lavoro che si ripercuotono sulla vita privata e genitoriale.

Secondo un rapporto redatto dalla School of Gender economics di Unitelma Sapienza, "Smart working: opportunità e rischi per il lavoro femminile", la pandemia "ha generato asimmetrie" (come afferma la direttrice del Dipartimento di Scienze Economiche Unitelma Rossella Castellano) che potranno perdurare nel tempo ed ha acuito disparità di genere già preesistenti: le donne sono coloro che maggiormente si fanno carico delle attività di cura a danno della loro crescita professionale e occupazionale nel mondo del lavoro.

Bisognerebbe ragionare sul fatto che la parità di genere non è solo una questione di equità per cui dal secolo scorso si sono portate avanti battaglie per ottenere riconoscimenti sia legislativi che aziendali, ma è anche fondamentale per lo sviluppo e l'innovazione del nostro paese.

Lo smart working delle lavoratrici italiane è di certo stato al centro di una propaganda secondo cui la si è ritenuta la soluzione è la migliore possibile per il mercato del lavoro, ma secondo tale studio, attraverso l'indagine su donne lavoratrici tra i 18 e i 65 anni, nasconde un'altra verità: in realtà si è evidenziato come lo smart working altro non è stato, durante la pandemia, che un'arma a doppio taglio contro i progressi di carriera, appaltando le donne al ruolo di caregiver, ovvero coloro che maggiormente si occupano della cura di familiari a carico, siano essi figli e genitori anziani.

Ciò vuol dire, quindi, avere più tempo per la cura del focolare domestico a discapito dell'investimento su di sé.

Nel momento in cui si è stati costretti a fronteggiare un virus killer, in uno stato di incertezza economica, molte famiglie hanno deciso di sacrificare uno dei genitori lavoratori e quasi sempre è stata sacrificata la forza lavoro femminile.

In verità già molte donne prima della pandemia avevano fatto richiesta di lavorare in smart working per meglio dividersi tra lavoro e famiglia e questo la dice lunga sulla rassegnazione alla cultura dominante che non prevede in linea generale un'assistenza condivisa di casa e figli tra i coniugi.

Le due componenti variabili di tempo e luogo si sono sempre più confuse, cresce l'impegno professionale e la cura della famiglia, ma la giornata resta comunque di 24 ore: tale commistione sovraccarica ancora di più le donne di oneri lavorativi retribuiti e non, in un luogo privato che è anche luogo di lavoro e dove non esistono più orari definiti, per in cui diventa sempre più difficile trovare spazi alla cura di sé e al riposo.

In tale contesto che si manifesta ancor più l'esigenza di affrontare la tematica della "condivisione della cura" che si distacchi da un concetto culturale "mediterraneo" che prevede l'intervento di figure femminili parentali, quali madri e nonne: la legge prevede un congedo parentale anche per i padri, ma che non dà risposta sufficiente alle esigenze della maggior parte delle famiglie e acuisce la discriminazione di genere nel mondo del lavoro.

Se un padre ha diritto a dieci giorni di congedo parentale contro i cinque mesi concessi alla madre, viene normale che un datore di lavoro, soprattutto per ruoli importanti e dirigenziali, è meno incentivato ad assumere una donna prevedendo che si possa allontanare per lunghi periodi.

Lo studio rileva come il 75% delle lavoratrici in smart working si fanno carico da sole della cura familiare, senza poterla condividere con nessuno e durante la pandemia di certo il welfare statale a sostegno delle famiglie è ancor più venuto meno al suo compito.

Congedo parentale e smart working: nuove misure per i genitori

Diverse sono state le misure approvate dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro del Lavoro Andrea Orlando, in riferimento alle direttive europee in materia di congedo parentale, ecco le più importanti:

  • Entra a pieno regime il congedo parentale obbligatorio di 10 giorni ai papà.

  • I mesi parentali coperti da indennità al 30% dello stipendio sono aumentati da sei a nove.

  • Aumenta il limite di età da 6 a 12 anni per il quale si può chiedere il congedo parentale parzialmente indennizzato.

Altre novità ci sono per quanto riguarda lo smart working, argomento che è diventato di massima attualità dallo scoppio della pandemia: il governo ha approvato un decreto legislativo accogliendo una delle direttive del Parlamento Europeo, secondo cui i genitori con figli fino a 12 anni hanno la priorità all'accesso al lavoro agile.

Inoltre la lavoratrice o il lavoratore che richiede di lavorare in smart working non può essere né demansionato, né sanzionato, né licenziato o trasferito, provvedimenti che avrebbero effetti negativi sulle condizioni di lavoro.

Nonostante queste decisioni da parte del Consiglio dei Ministri su spinta europea, comunque l'Italia è molto indietro rispetto ad altre nazioni in Europa, se pensiamo che in Spagna, ad esempio, i giorni di congedo parentale sono equiparati per entrambi i genitori.

Perché sarebbe così importante questo periodo a casa per i papà?

Di certo il padre verrebbe più coinvolto nella cura del figlio nei primi mesi di crescita, ma avrebbe anche un duplice impatto positivo sull'occupazione femminile e riduzione della disparità di genere in ambito lavorativo.

Sono passi fondamentali per incrementare una cultura di condivisione di cura e responsabilità nel contesto familiare e, in questo particolare momento storico, una più equilibrata gestione dello smart working perché non diventi un peso eccessivo per la madre.

Coworking: esperimenti di "uffici condivisi" per le lavoratrici madri

Quando una coppia decide di diventare genitore, il dilemma se dare maggior spazio alla cura dei figli o alla carriera è sempre più emergente, considerando che sono lontani quegli anni in cui la donna restava a casa a svolgere ruoli casalinghi e di cura familiare.

Gli scenari sono diversificati e conflittuali, fino a dover pesare quasi sempre sul percorso professionale di uno solo dei coniugi: pertanto si sono cercate soluzioni che potessero venire incontro alle problematiche familiari senza che ne venisse a soffrire una delle parti, in una logica di sano equilibrio tra carriera e vita privata.

Da alcuni anni diversi coworking in Italia si sono mobilitati alla ricerca di spazi per le lavoratrici in cui gestire il lavoro in tranquillità e con i figli al seguito: i bambini saranno impegnati in diverse attività ricreative all'interno di aree giochi e laboratori di ludoteca, seguiti da personale di assistenza all'infanzia.

Molteplici sono state le proposte che negli anni hanno trovato realizzazione, come ad esempio QF (Quoziente Familiare) a Milano dove sono previste anche attività sportive e psicomotorie, oppure Lab Altobello a Mestre, che fornisce una ludoteca, baby sitter e laboratorio organizzato secondo il metodo Montessori.

Sperimentale è il coworking a Bologna Kilowatt dove i bambini sono liberi all'interno di un'area nelle Serre dei Giardini Margherita.

Interessante è invece il coworking milanese "Piano C" ideato da Riccarda Zezza che per anni ha lavorato come manager in diverse multinazionali: dopo la seconda gravidanza si è sentita isolata perché era l'unica che staccava dall'ufficio alle 18, allora ha deciso di realizzare a prezzi accessibili un'area con una quindicina di postazioni lavoro, quattro sale riunioni e un servizio di "cobaby" (educatrici a disposizione delle mamme lavoratrici) e assistenti per svolgere le commissioni fuori che di solito sono a carico della donna.

L'idea di fondo è anche quella di coinvolgere le aziende nel "Piano C" come luogo di reinserimento al lavoro delle neo-mamme, così da dimostrare che le donne sono produttive anche se hanno figli neonati ed evitando, come succede a molte, di dover lasciare l'impiego dopo la maternità.

Smart working ed "empowerment" femminile

Secondo l'Associazione "Fuori Quota", fondata e animata da amministratrici delegate e professioniste di diverse aziende, il nostro è un paese che trascura in modo tangibile le risorse femminili, non premiando il valore, le capacità e le eccellenze che potrebbero fare la differenza in un momento di crisi come questo che stiamo attraversando.

Il 28 marzo in Senato, su iniziativa della senatrice Valeria Fedeli, in accordo con l'Associazione "Fuori Quota",si è affrontato la questione dello smart working femminile: se si vuole che il lavoro agile sia ancora uno strumento valido per l'empowerment femminile, processo progressivo in cui la donna acquisisce maggiore potere decisionale in settori diversificati della società, è necessario promuovere iniziative e politiche sociali a sostegno della cura familiare e incentivare le aziende a un cambiamento di rotta nei confronti delle lavoratrici madri.

La donna ha ormai raggiunto una piena consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte e azioni, sia in ambito delle relazioni personali, sia in quello della vita politica, lavorativa e sociale e "con lo smart working è possibile garantire una piena partecipazione tra uomini e donne", come ha sottolineato il ministro per le Pari Opportunità Elena Bonetti, senza che vi siano più discriminazioni di genere.

Inoltre, è chiaro ormai che le donne guadagnano meno degli uomini, hanno un maggiore sovraccarico del lavoro domestico che si ripercuote sull'andamento della sua carriera che risulta discontinua: a un'azienda costa più assumere una donna e questo scarto deve essere assolutamente azzerato attraverso una profonda innovazione politica e culturale.